AGOSTINO CATALANO

Il capo scorta assistente capo Agostino Catalano aveva 43 anni ed era stato
sposato con Maria Pace ma era rimasto vedovo tre anni prima. La moglie era
morta per un tumore, lasciandolo solo con i tre figli, Emanuele, Emilia e
Rosalinda. Nel 1991 si sposò con Maria Fontana. Per far fronte alle esigenze
economiche della famiglia aveva cominciato a prestare servizio come agente di
scorta e solitamente era assegnato alla scorta di padre Bartolomeo Sorge. Il
giorno della Strage di via d’Amelio era in ferie, ma per una tragica fatalità era
stato chiamato al fine di raggiungere un numero sufficiente per la scorta del
giudice Borsellino. Appena poche settimane prima aveva salvato un bambino che
stava per annegare in mare, dinanzi alla spiaggia di Mondello.
WALTER EDDIE COSINA

L’agente scelto Walter Eddie Cosina nasce a Norwood, in Australia, da una
famiglia di origine triestina emigrata nel dopoguerra. A metà degli anni 1960 la
famiglia ritorna in Italia, a Muggia. Rimasto orfano di padre a soli 21 anni è
costretto a rinunciare al corso di formazione per divenire operatore di polizia
giudiziaria. Nel 1983 entra nella Digos, a partire dal 1990 fa parte del nucleo
anti-sequestri e in seguito prende servizio presso la divisione anticrimine.
Dopo la Strage di Capaci vennero richiesti agenti di scorta in tutta Italia e Cosina
accetta di spostarsi da Trieste a Palermo. Nel maggio del 1992 fa richiesta per
entrare nella direzione investigativa antimafia. Il giorno della strage, per un
crudele destino, lascia riposare un collega che doveva dargli il cambio e decide di
prendere servizio al suo posto come agente di scorta del giudice Paolo
Borsellino. Lascia la moglie Monica.
CLAUDIO TRAINA

Dopo aver svolto il servizio militare nell’aeronautica, Claudio Traina decide di
entrare in polizia giovanissimo. Dopo aver frequentato il corso di formazione
presso la scuola di Polizia ad Alessandria, entra a far parte della squadra volanti
a Milano per poi essere trasferito, su sua richiesta, a Palermo. E’ il 1990 quando
decide di farsi assegnare all’ufficio scorte. Aveva solo 27 anni ed era sposato e
padre di un bimbo di solo undici mesi, Dario, che ora vive in Brasile. Suo fratello
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Luciano, agente della Squadra Mobile di Palermo, ora in pensione, dopo la strage
fece parte del pool di poliziotti che catturarono il boss Giovanni Brusca.
EMANUELA LOI

L’agente Emanuela Loi fu la prima donna poliziotto a morire in una strage di
mafia. Entrò nella Polizia di Stato nel 1989 e frequentò il 119º corso presso la
Scuola Allievi Agenti di Trieste. Fu trasferita a Palermo due anni dopo. Tra i
diversi incarichi le furono affidati i piantonamenti a Villa Pajno a casa dell’allora
parlamentare Sergio Mattarella, la scorta alla senatrice Pina Maisano (vedova di
Libero Grassi) e il piantonamento del boss Francesco Madonia. Dopo la strage di
Capaci, nel giugno del 1992 venne affidata al magistrato Paolo Borsellino. Aveva
solo 24 anni quando cadde nell’adempimento del proprio dovere, era una
ragazza solare, sempre sorridente con un’aria sbarazzina e spensierata. Sognava
di tornare presto nella sua Cagliari, proprio per questo aveva richiesto di essere
lì trasferita. Lasciò i genitori, una sorella ed un fratello ed il fidanzato con il quale
sperava presto di sposarsi. Amava molto il suo lavoro, pur essendo consapevole
del pericolo che correva ogni giorno.
VINCENZO LI MULI

Vincenzo amava le moto e le auto da corsa ma da sempre il suo sogno era quello
di diventare poliziotto. Ci riuscì nel 1990, e nella primavera del 1992 f
assegnato alla Questura di Palermo. Era fidanzato con Vittoria, il suo grande
amore, con cui voleva sposarsi e costruire una famiglia. Guardando le immagini
della strage di Capaci in televisione, pianse amaramente davanti alla
vigliaccheria di chi sceglieva il tritolo e non permette di difendersi e di lottare.
Fu in quel momento che prese la sua decisione e nonostante i rischi che sapeva
di correre, si fece assegnare alla scorta del giudice Borsellino. Aveva solo 22 anni
ed era il più giovane della squadra.
L’unico sopravvissuto di quel giorno è l’agente Antonino Vullo, che racconta
l’incubo di quel giorno così: “Il giudice è sceso dalla macchina e si è acceso una
sigaretta. I ragazzi si sono messi a ventaglio intorno a lui per proteggerlo, come
sempre. Sono entrati nel portone, poi… sono uscito dall’auto distrutta. Ho
camminato e camminato. Ero disperato, vagavo. Gridavo. Ho sentito qualcosa
sotto la scarpa. Mi sono chinato. Era un pezzo di piede. Mi sono svegliato in
ospedale. Ogni volta, quando cade l’anniversario, sto malissimo”.
Fonte: interno.gov.it